Il manifesto pubblicitario è comparso a Torino. Con tanto di logo Dolce & Gabbana. Nato come operazione di guerrilla marketing, in poche ore è diventato un tormentone sui social. Nessuno rivendica, ma lascia il segno una citazione. Di quella Eau de Violette che fu di Duchamp
VITO DE BIASI
Il vero uomo. È il payoff della falsa campagna stampa comparsa stamattina a Torino, che ritrae Mario Adinolfi in qualità di testimonial di un profumo che suona come il suo nome, Eau Di Nolfi, con tanto di logo Dolce & Gabbana. La vicenda è stata ricostruita da Paolo Armelli sul suo blog, a partire da una foto scattata da Federico Novaro nel capoluogo piemontese, per poi diventare un trend su Twitter proprio con l’hashtag Eau Di Nolfi.
La campagna è ovviamente un fake, non ancora rivendicato da nessuno, che assume il modus operandi del vecchio guerrilla marketing, che interveniva nell’arredo urbano affidando poi ai media il suo rilancio al pubblico. È successo anche in questo caso, vista la raffinatezza della campagna: gli autori hanno scelto infatti di rappresentare il profumo citando direttamente la boccetta della Belle Haleine Eau de Voilette, il profumo inesistente inventato da Rrose Selavy, alter ego femminile di Marcel Duchamp. L’operazione vertiginosa dell’artista dadaista scardinava codici e ordine delle cose tramite un travestimento (oggi diremmo drag) che in realtà rappresenta un’altra persona, non soltanto una maschera.
Rrose Selavy (da leggersi anche come “C’est la vie”) ha un nome che funziona come la chiave del rebus, le istruzioni per scardinare (o complicare) un mistero: la doppia r del nome, Rr, in francese si leggerebbe “errer” (vagare), senza contare che “rose” è anagramma di “eros”. E allora l’eros è la vita, e questa vita consiste in un vagare (tra i generi, tra i codici, tra i vestiti). Voilette, poi, cita la violetta tipica dei profumi da donna del tempo (prima che arrivasse Chanel a sconvolgere tutto con N° 5) ma è scritto come “velo, veletta”. Ancora, un ri-velare, un rimettere il velo a ciò che è stato svelato.
Dov’è questo vero uomo allora? Nemmeno l’omofobo Adinolfi si candida al ruolo, visto che il suo corpo è mostrato in tutta la sua apparenza bear, una mascolinità tradizionalmente macho ma “altra”, appartenente cioè alla comunità gay. Il bear, l’orso, è la figura (corporea, prima che sociale) che scardina le vecchie dicotomie tra gay effeminato ed eterosessuale mascolino, introducendo al tempo stesso una critica all’eccessiva estetizzazione corporea della vecchia cultura gay (muscoli, pancia piatta, corpi glabri). E così questa campagna accoppia lo scardinamento dei codici dell’arte operata dal dadaismo di Duchamp allo scardinamento dei codici culturali che pretendono di separare il vero uomo e la checca in base a certe apparenze.
E lo scardinamento è letterale, visto che per piazzare il poster gli autori hanno scassinato la bacheca gestita da IGP Decaux. Velare e scassinare, un gesto delicato e uno violento (così Adinolfi ha definito l’atto, ovviamente ai suoi danni), che fanno la stessa cosa: giocare. Il gioco sublime e profondo del sovvertire l’ordine esistente, o che si vorrebbe imporre come tale, dove l’hacker è il queer dell’arte e il queer è l’hacker dei corpi.
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