Impennata dei contratti a tempo indeterminato a dicembre, ultimo mese utile per gli sgravi. Ma stando ai dati Inps il boom potrebbe trasformarsi in boomerang. E nel 2015 sono stati venduti oltre 115 milioni di voucher-lavoro
MARTA FANA
Con la fine del 2015 è arrivata anche la fine dell’esonero totale sul costo del lavoro, i cosiddetti sgravi. Una notizia conosciuta dalle imprese poiché contenuta in tutti gli annunci del Governo relativi alla legge di stabilità. Le imprese hanno allora reagito razionalmente, si direbbe in economia, facendo letteralmente esplodere il numero di attivazioni a tempo indeterminato beneficiarie degli sgravi appunto. Un gioco strategico che nulla ha a che vedere con la ripresa reale del mercato del lavoro, ma che risponde agli interessi delle imprese: ottenere liquidità e non versare contributi sul costo del lavoro, fintanto che converrà. Infatti, di fronte a un quarto semestre in forte rallentamento per l’economia italiana, dal punto di vista economico vengono meno i presupposti per un reale aumento dell’occupazione, che sia almeno duraturo. Rimane altresì da capire quanto di questa movimentazione contrattuale sia nuova e quanta invece dovuta a un’emersione del lavoro irregolare.
La domanda sorge spontanea a leggere il dettaglio delle assunzioni a tempo indeterminato instaurate con l’esonero contributivo: Sud e Isole presentano un numero di assunzioni con sgravi (383.678) decisamente superiori anche rispetto al Nord Ovest (266.630).
Osservando questa dinamica ci si rende conto, anche sulla base della sola evidenza descrittiva, che il Jobs Act di per sé conta poco e che la motivazione decisiva è nel ricorso agli sgravi contributivi. L’Inps, nel rapporto dell’Osservatorio sul precariato di dicembre, sottolinea che hanno beneficiato degli sgravi contributivi 1,44 milioni di assunzioni, senza nulla dirci in termini di spesa totale per la finanza pubblica.
Quanto visto per gli sgravi si riflette inevitabilmente sul numero di rapporti netti a tempo indeterminato (cioè al netto delle cessazioni). Dopo una prima fase stagnante tra aprile e luglio, in cui l’aumento dei contratti a tempo indeterminato è stato pressoché nullo per poi addirittura diminuire nei mesi estivi, ecco evidente il salto tra novembre e dicembre. Il guadagno in termini di contratti in questi ultimi due mesi del 2015 è stato di 71.232 unità. A novembre infatti, il saldo arrivava appena a 114.812, mentre a dicembre è stato di 186.048.
I voucher continuano la loro corsa. Nel 2015 ne sono stati venduti 114.921.574. Quel che è oggi importante sottolineare è che, come spiega l’Inps, “In presenza di un utilizzo corretto dello strumento, se ad ogni voucher corrisponde effettivamente un’ora di lavoro, il volume di ore remunerate dai voucher venduti nel 2015 corrisponde a circa 57 mila unità di lavoro equivalenti”. Ciò vuol dire che l’uso (se corretto) dei voucher rappresenta 57 mila occupazioni a tempo pieno che adesso vengono regolamentate con uno strumento senza alcuna tutela sui diritti , con una retribuzione oraria di appena 7,5 euro per ora (in assenza di lavoro irregolare) e di un’infima contribuzione, il 13% sui dieci euro nominali. Rimane da capire quanto lavoro irregolare si nasconda dietro questi numeri, se e quale quota dei voucher risponde ad esigenze accessorie e non strutturali delle imprese che li usano, quanto, infine, i rapporti di lavoro si stiano realmente livellando verso un minimo assoluto.
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